Le stragi del 1992: Falcone e Borsellino | Il Lato Oscuro della Verità | Parte 2

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Come è andata a finire? La giustizia ha fatto il suo corso sulle stragi del 1992 contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Molti anni dopo, quel cratere sull'autostrada di Capaci è ancora una voragine piena di misteri. La sera del 23 maggio 1992, un camionista telefonò al numero verde dell'Alto commissariato per la lotta alla mafia: "Ieri, c'erano tre operai che stavano lavorando proprio lì dove hanno ammazzato il giudice Falcone - disse - e mi è sembrato strano, perché erano le 19.30, e poi avevano una tuta giallina troppo pulita per essere un fine settimana". Una testimonianza importante, la telefonata fu inviata subito alla procura di Caltanissetta, che la fece trascrivere, ma non venne fatto nessun altro approfondimento: il verbale è rimasto in un archivio E, adesso, le parole di quel testimone dimenticato (o rimosso?) rilanciano il mistero. Chi c'era davvero sull'autostrada Punta Raisi-Palermo per preparare e realizzare l'attentato che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i poliziotti Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Anni dopo, sono ancora tanti i punti oscuri di una strage che ha segnato la storia d'Italia. Nonostante tre degli esecutori materiali, diventati collaboratori di giustizia - Giovanni Brusca, Gioacchino La Barbera e Santino Di Matteo - abbiano assicurato che non c'erano presenze esterne nel commando messo in campo dalla Cupola mafiosa diretta da Salvatore Riina. Ma i dubbi restano, sono fissati nelle stesse sentenze che hanno condannato mandanti ed esecutori di Cosa nostra. E la magistratura continua a indagare. La procura di Caltanissetta e la procura nazionale antimafia scavano dentro vecchie piste e nuovi spunti. Si prova a dare un'identità al Dna femminile estratto dal guanto ritrovato accanto al cratere, subito dopo la strage. Si indaga sull'utenza del Minnesota chiamata due ore prima dell'attentato da Antonino Gioè, il mafioso che poi si impiccò il 28 luglio 1993 nel carcere di Rebibbia (altro episodio avvolto da troppi misteri): l'Fbi ha comunicato che l'utenza fissa era installata in un residence di Maplewood. Chi c'era in quell'appartamento? Gioè, uno dei componenti più autorevoli del commando di Capaci, utilizzava un telefonino con un'utenza fantasma, ovvero un numero che all'epoca non era stato ancora assegnato in modo ufficiale: già durante le prime indagini, era emerso che il trucchetto era stato reso possibile da qualcuno all'interno dell'agenzia Sip di Roma Nord, da sempre al centro di molti sospetti per collegamenti con ambienti deviati dei servizi segreti. I magistrati provano anche a dare un volto a una figura misteriosa a cui ha fatto cenno Gioacchino La Barbera. Ha detto: "Mentre stavamo mettendo da parte l'esplosivo per l'attentato a Falcone, in una villetta di Capaci, notai una persona che non avevo mai visto. Arrivò con Antonino Troia, il capomafia di Capaci, parlò pure con Raffaele Ganci, il capomafia della Noce. Non l'ho più vista quella persona". Un altro filone di indagini è legato alle parole pronunciate in carcere da Salvatore Riina. Intercettato dai pm dell'inchiesta Stato-mafia, diceva al compagno dell'ora d'aria: "Abbiamo incominciato a sorvegliare, andare e venire da lì, aeroporto, cose... abbiamo provato a tinghitè (in abbondanza, ndr), siamo andati a Roma, non ci andava nessuno.... Non è a Palermo... fammi sapere quando arriva... in questi giorni qua". L'intercettazione è disturbata, alcune parole non si riescono a comprendere. "Andammo a tentoni - prosegue il padrino - fammi sapere quando prende l'aereo". Chi fece sapere al commando di Riina quando Falcone avrebbe preso l'aereo di Stato allo scalo romano di Ciampino per arrivare a Palermo? Nessun pentito ha saputo dirlo. Doveva tornare in Sicilia il venerdì, la scorta era stata già allertata. Poi, all'improvviso, un impegno della moglie fece slittare al giorno dopo il ritorno a casa. Chi c'era davvero a Capaci? I mafiosi condannati nascondono qualcosa? Forse, era operativo un altro commando riservato? Dopo la strage arrivarono diverse segnalazioni di operai lungo quel tratto di autostrada: nel processo Capaci bis, la procura di Caltanissetta è tornata a sentire l'ex funzionario della squadra mobile Roberto Di Legami, che si era occupato di verificare le testimonianze, una in particolare, arrivata dal cognato del generale dalla Chiesa. L'ingegnere Francesco Naselli Flores aveva riferito di aver visto due persone sul ciglio della strada, dietro a un Ducato bianco, intorno a mezzogiorno del 22 maggio. I magistrati hanno detto che erano gli operai della "Iter Cooperativa Ravennate", che stavano realizzando la nuova aerostazione: l'allora direttore tecnico della cooperativa ha detto in aula che gli operai facevano la spola con Palermo attraverso furgoni bianchi. Fra le 7,30 e le 17. Il caso è stato chiuso. Ma, adesso, quella testimonianza parla di una presenza in autostrada alle 19,30. E quegli operai segnalati dal camionista non vengono descritti come di passaggio, ma al lavoro. "Uno di loro aveva fra le mani un oggetto cilindrico grande una quarantina di centimetri - disse il testimone - l'ho visto che scendeva verso la scarpatina". Chi erano quegli uomini? E perché non fu rintracciato il testimone? "Questa telefonata non ci fu mai passata - dice il dottor Di Legami - è la prima volta che ne sento parlare. Avremmo fatto tutte le verifiche, come negli altri casi segnalati". Eccolo, uno dei misteri di Capaci. Per troppi anni, una testimonianza così importante è rimasta dentro i faldoni che raccolgono la consulenza dell'esperto informatico Gioacchino Genchi, a lui i sostituti procuratori di Caltanissetta Carmelo Petralia e Pietro Vaccara diedero l'incarico di trascrivere la telefonata. "La mia attività riguardava i computer di Falcone - ricostruisce Genchi - ci vennero date anche alcune audiocassette da trascrivere". Ma, poi, il racconto del testimone rimase chiuso in un cassetto di quella procura che da lì a qualche mese avrebbe finito per costruire un altro mostro, il falso pentito Scarantino. Ancora oggi emergono altri protagonisti, a lungo rimasti insospettabili, e uomini che per anni hanno scelto il silenzio. La storia della nostra Repubblica continua a essere riscritta, e ora è sempre più evidente come nelle stragi del ’92, così come quelle del ’93 che vedremo in un'altra nostra puntata del “Lato oscuro della verità, ci sia la mano di mandanti esterni. Il programma d'inchiesta Report ha mostrato, ad esempio, l’informativa redatta dall’allora capitano dei carabinieri Gianfranco Cavallo, dove si segnalava la presenza di Stefano delle Chiaie a Capaci in cerca di esplosivo poco prima della strage. Una informazione dal grande valore investigativo, ma incredibilmente non approfondita dai carabinieri. Come mai? Solo oggi rileggendo la storia capiamo come per individuare i responsabili dietro gli anni più bui della nostra Repubblica occorra tenere in considerazione gli elementi ricorrenti di un sistema al cui interno operavano uomini della destra eversiva, massoni, uomini dello Stato e mafiosi. Non è storia vecchia, oggi che la legislazione messa a punto per combattere la mafia da Falcone e Borsellino viene messa a dura prova e da ogni lato si moltiplicano i tentativi di riscrivere il periodo stragista e i suoi responsabili. Così si moriva a Palermo. Soli. Senza la protezione morale dello stato che si serve. Senza neanche il tempo di vivere. Senza un saluto, senza aver chiuso l’ultima pagina di un inchiesta. Soli e minacciati... lavorando e basta. Soli… Semplicemente soli. Ma resta la memoria. Piero Grasso ex presidente del Senato e per molti anni uno dei punti di snodo dell'Antimafia. Scriveva Giovanni Falcone: "Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana." "Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini." "Non è retorico né provocatorio chiedersi quanti altri coraggiosi imprenditori e uomini delle istituzioni dovranno essere uccisi perché i problemi della criminalità organizzata siano finalmente affrontati in modo degno in un paese civile." "Il vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano i grandi movimenti di danaro connessi alle attività criminali più lucrose" «Credo dovremmo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l'eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una sua fine». "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”. Oggi sappiamo molto più di prima sugli omicidi e sulle stragi di mafia. Oggi conosciamo i nomi dei responsabili. Perché abbiamo le prove. E questa nostra consapevolezza ci rende un po’ più forti. Per non dimenticare. _______________________________________ Ascolta "Il Lato Oscuro della Verità”. Racconta: Daniele Biacchessi. SoundDesigner: Peter Bescapè. "Il Lato Oscuro della Verità”, in onda, ogni sabato alle 20.00 e ogni domenica alle 12.00, solo su Giornale Radio, la radio libera di informare. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it

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